Rainer Maria Rilke (Praga, 4 dicembre 1875 – Montreux, 29 dicembre 1926)
Dai Sonetti a Orfeo (Aus den Sonetten an Orpheus)
I,7
Ecco, esaltare! A esaltare egli venne,
sgorgò così come sgorga dal muto
sasso il metallo. Il suo cuore è il caduco
filtro d’un vino agli umani perenne.
Non mai la polvere spegne la pura
voce se l’eco del dio la trascina.
Tutto diventa grappolo e vigna
che il suo sensibile agosto matura.
Non il marcire dei re nella tomba
muta in menzogna il suo canto, non l’ombra
che da figure divine si posa.
Perché egli è uno dei messi più forti
che ancora oltre le soglie dei morti
levano coppe di frutti gloriosi.
(Rühmen, das ists! Ein zum Rühmen Bestellter,/ ging er hervor wie das Erz aus des Steins/ Schweigen. Sein Herz, o vergängliche Kelter/ eines den Menschen unendlichen Weins.// Nie versagt ihm die Stimme am Staube,/ wenn ihn das göttliche Beispiel ergreift./ Alles wird Weinberg, alles wird Traube,/ in seinem fuhlenden Süden gereift.// Nicht in den Grüften der Konige Moder/ straft ihm die Rühmung Lügen, oder/ dass von den Göttern ein Schatten fällt.// Er ist einer der bleibenden Boten,/ der noch weit in die Türen der Toten/ Schalen mit rühmlichen Früchten halt.)
Fu l’ultima opera di Rilke (1923), splendida. La traduzione, ineguagliabile come ebbe a scrivere Franco Fortini, è di Giame Pintor, dei primi anni Quaranta. Il libro lo acquistai negli anni Settanta: Collezione di Poesia, Einaudi, a 800 lire (!).