Certe volte vuotare, a piccoli e misurati sorsi, un calice ricolmo di buon vino può servire a liberare la mente di tutti quegli assilli che vivere porta a accumulare. A scrostare le sinapsi di quelle ruggini pericolose che incrostano i fili delicati: rifiuti tossici che le delusioni, i tradimenti, magari soltanto gli egoismi e l’insensibilità che mi cresce rigogliosa intorno, rendono insopportabili. Un pizzico di sano cinismo potrebbe aiutare; qualche momento di calcolo lucido; qualche periodo di lontananza da persone vampire o semplicemente inutili servirebbe a alleggerire il peso di vivere. Questi versi sono frutto di una sofferenza profonda che mi ha inciso l’anima: bere – non per cercare oblio o stordimento ma per ritrovare sensazioni usate che mi accarezzano senza pretendere nulla in cambio – spesse volte mi aiuta.

Un calice di traminer friulano al Mood, in piazza Carignano a Torino
Bicchiere di vino
Nei riflessi rubini
s’è fatto liquido presente l’acino passato:
liquido diafano,
liquido inebriante
scolorirà, piscio immondo,
nel suo irrimediabile futuro.
Futuro ogni passato è stato,
furono speranze i ricordi:
ricordi tenui diluiranno forti speranze.
I riflessi d’un bicchiere elegante
di diafane promesse ricolmi
il tempo rimescolano
del tempo si fanno beffe
quando lacrime insolenti,
passate presenti future,
solchi, concrete, incidono.
Materiche, chirurgiche
la pelle devastano sensibile:
ne scavano le rughe profonde di già.
A queste disperanze assisto attonito,
e sono le mie e non capisco
se sono se sono state se saranno.