“La marjuana ti fa male, il Chianti ammazza l’anemia…“.
“Che bello col pakistano nero e con l’ombrello e una ragazza giusta che ci sta e tutto il resto che importanza ha? Così di casa li cacciai senza ritegno senza badare a chi mi palesava sdegno li accompagnai per strada e chiuso ogni sportello tornai in cucina e tra i barattoli uno che….Che bello col giradischi acceso e lo spinello non sarà stato giusto si lo so ma in 15 eravamo troppi o no? E questa amici miei è una storia disonesta e puoi cambiarci i personaggi ma quanta politica ci puoi trovar“.
La prima citazione da Letto 26: ogni volta che l’ascolto mi viene da piangere. Io sono così, che ci posso fare. Alla faccia della leggerezza. La seconda è tratta dalla conosciuta Una storia disonesta, il suo pezzo più famoso.
Stefano Rossi, diventato Rosso chissà perché, era un trasteverino nato nel ’48; se n’è andato il 15 settembre del 2008. Non è considerato, probabilmente a ragione, un Grande. Eppure i testi delle sue melodie semplici sono la dimostrazione di come si possa essere leggeri e profondi in periodi – gli anni Settanta – che tutto pretendono di essere meno che leggeri.
Stefano Rosso è tutto da riscoprire in canzoni come Odio chi, Senti cosa fo, Colpo di stato, L’osteria del tempo perso, La banda degli zulù. Ogni tanto, tra le facili marcette e melodie di ispirazione country, ti getta in faccia una ballata straordinaria: vedi Tre fratelli, Canzone per chi e la bellissima Quando la luna.
A un certo punto della sua vita Stefano Rosso, deluso da tutto il sistema e anche da qualche amore andato a male, si arruolò addirittura nella Legione Straniera, era l’inizio degli anni Ottanta. Poi rientrò in Italia e riprese a fare il musicista, con disillusione e disincanto, oltretutto era un ottimo chitarrista (finger picking).
Uno dei tanti sottovalutati e dimenticati: Ivan Graziani, davvero grande – poeta e musicista solidissimo – è un altro di questi. Ascoltatemi, ascoltateli per bene e poi fatemi sapere.