Pensare che si crede, a cinquant’anni suonati, di sapere se non tutto almeno un sacco di cose e intorno a certe faccende davvero tutto, o quasi. Nessuno mi aveva ancora detto che i fichi d’india, debitamente passati nella calce e staccati con un pezzo di pianta, si conservano fino a natale e a tutto l’inverno inoltrato. C’è voluto Vincenzo Vita per spiegarmi questa tradizione pugliese, siamo nel Salento tra San Vito e Manduria: a Natale potrò gustarmi i miei meravigliosi fichi d’india, magari bevendoci insieme un bel Primitivo di Manduria (Il Trullo?)!
Io adoro i fichi d’india e questa è la stagione giusta per gustarli, con un buon di bicchiere di vino: che può essere bianco, rosso, secco, dolce, fermo o spumante. Questo frutto ha la straordinaria capacità di sposarsi bene a ogni tipologia di vino, esaltando di volta in volta differenti sapori. Matura sopra una pianta grassa, originaria dell’altopiano messicano (in lingua nahua si chiama nopal); ha attecchito in maniera meravigliosa ne nostro sud, dalla Puglia in giù. E’ il mio frutto preferito: difficile da raccogliere, difficile da sbucciare, ma delizioso in bocca. Dev’essere gustato fresco e, purtroppo, non se ne possono mangiare troppi…..
Questo mio scatto, colto sul Gargano quest’anno a agosto, è la sintesi di un concetto ampio e assai relativo che tutti sono in grado di capire ma pochi sanno spiegare: il Sud. Questo frutto, il nopàl messicano diventato fico d’india, è nel mio immaginario l’emblema che meglio sintetizza il concetto di cui sopra.
La fotografia è, come dev’essere ogni cosa importante, semplice e diretta: ci ho messo quattro o cinque giorni a pensarla e a costruirla; poi due o tre scatti, con la luce giusta e non serve neanche la postproduzione in photoshop.
Vincenzo Vita, mio amico, produttore di vino e di olio, di origine salentina, ogni tanto mi porta dei fichi d’india dalle sue terre. Dato per scontato l’abbinamento con i vini locali (suggerisco bianchi di corpo, non troppo dolci), a me piace mangiarli freschi bevendoci insieme una Barbera d’Asti superiore di 4/5 anni: è un abbinamento che trovo sensazionale.
Di più: un lenimento (com’era uso presso i romani, che il vino lo usavano spesso come medicamento, vedi il mio pezzo sul Liber Medicinalis) a ogni guaio, non solo fisico: pene d’amore, mutuo da pagare, stipsi, colite, emicrania, Berlusconi, Inter, miss Italia, Vespa, D’Alema, mal di pancia. E financo Calderoli, Bondi e Di Pietro! Mangiate fichi d’india freschi, bevendoci Barbera d’Asti e vi passa tutto. Proprio tutto. Parola mia!
Queste fotografie sono state riprese nella piana pleistocenica di Mattinatella (Gargano, Puglia) in questo agosto 2010. Ci sono i colori e le luci del nostro fascinoso Sud. Mancano gli odori penetranti della macchia mediterranea, mancano i suoni delle fronde degli ulivi, dei mandorli, del ligustro eccitate dal vento. Però ci sono i verdi cangianti delle piante dei capperi, degli olivi millenari (quello accanto a cui c’è mia moglie Margherita ha un diametro di quasi 4 metri!), dei fichi d’india, degli oleandri; e c’è il fiore – la pianta fiorisce una sola volta durante la sua vita – dell’agave americano che da noi ha attecchito con lo stesso entusiasmo del nopal messicano (il fico d’india). Il mio vuol essere un semplice tributo d’amore verso le terre che amo e da cui sono riamato.