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(QUASI UNA) PREFAZIONE
L’hai incontrata una sera tardi per caso, era quasi anonima rispetto a tante altre che sfolgoravano le loro attrazioni accurate di smalti, fondotinta, ciglia finte, acconciature elaborate e piccanti scollature.
Ti ha colpito la sua semplicità e forse uno sguardo dalla profondità insondabile che ti ha scagliato addosso quasi con noncuranza: e quell’occhiata è stata come un colpo di zagaglia. E hai scommesso, al buio.
Al mattino presto la guardi mentre dorme a fianco a te e realizzi che quella scommessa scriteriata l’hai vinta. Pensi: che fortuna ho avuto, mentre segui il taglio delle sue labbra socchiuse e noti la bocca piccola, sensuale. E poi ti soffermi sugli zigomi e i capelli e quella pelle così liscia, senza trucchi, senza creme bugiarde che sanno mentire così bene nelle penombre rumorose delle sere e delle notti artificiose, false, poco credibili.
Notti affollate di mala gente in mali affari indaffarata.
E lei, invece, così bella al mattino.
E questa Donna come larga metafora di una Città che non sa portare trucchi e belletti e scollature vertiginose e acconciature studiate da parrucchieri barocchi.
Torino che è bella alle sette di mattina: con i rosa pallidi della giogaia delle montagne che la imbellettano di luce irreale.
Torino che rivela i suoi sguardi furtivi ma profondi che feriscono come lame assassine tra i portici e le prospettive di certe piazze e di certe vie.
Torino che parla lingue sconosciute dalle pietre antiche dei suoi palazzi che sembrano anonimi e invece raccontano storie inaudite d’amore, d’odio, di morte.
Storie che si rivelano a chi sa intendere le lingue che parlano le pietre.
E poi, tra quelle pietre, ecco spuntare fantasime, geni, jinn, folletti, spiritelli, forse financo putti.
E allora fluiscono racconti di vite sballate, di vite vissute fino all’ultima goccia, di vite gettate via, di vite impossibili, di vite svitate e riavvitate mille volte.
Ma bisogna frequentare posti strani o posti normali in ore strane; e ancora posti conosciuti in apparenza con persone strane che sanno scovare e dar voce a certi racconti altrimenti muti, incastrati nelle pietre che li custodiscono come ineffabili secondini.
Di queste voci, di questi racconti, di queste vite squinternate, di queste esistenze nomadi – nomadi nel tempo, nomadi nello spazio – questo libro è narrazione.
Narrazione appassionata, narrazione faticosa, narrazione estratta quasi a forza dall’oblio cui i Giusti, i Belli, i Colti, i Famosi, i Potenti avevano affidato il compito criminoso di occultare tra i portici, le strade, le piazze e i loro porfidi e i loro basalti.
E il portone atroce di questo oblio i nostri due eroi, senza macchia e senza paura, hanno avuto l’ardire di scardinare.
E l’hanno divelto semplicemente per amore, l’hanno sventrato con la forza immane che dà l’Amore.
L’amore per questa Città che sa parlare una lingua straordinaria che occorre prima imparare ad ascoltare e poi a capire.