L’attribuzione di questo raro testo (pubblicato pochissimo) a Pietro Aretino è condivisa ma non certissima. Il volume fu pubblicato a Venezia nel 1530 presso lo stampatore Zoppino, l’edizione in mio possesso è dell’editore romano Manilo Basaia, 1984 (editore che credo non sia più attivo).
Si tratta di un poema satirico contro il sesso femminile, svolto in terza rima e in tredici canti o capitoli abbastanza indipendenti.
Il poemetto è tanto colto quanto di oscenità sublime: tutto il peggio che una mente fertile possa immaginare è messo in versi che costituiscono un esempio linguistico straordinario per l’evoluzione colta del volgare nel XVI secolo.
E quanto Messalina fusse casta,
che moglier di Claudio imperatore,
a cui un lupanar non par che basta.
Questa, per satisfar al suo furore,
usciva de la casa imperiale,
et andava al bordel con quell’ardore
che fa la lupa a ciascun’animale,
di notte a tempo con una compagna,
ch’ardeva più di lei o d’altra tale.
Quivi si stava la bramosa cagna,
fin che ‘l bordel si serrava, e dapoi
lorda tornava a la casa più magna.
Chiamava ogni poltron:«Vieni qui da noi,
che ti farem onor e cortesia»,
per soddisfar gli appettiti suoi;
e stava stravestita su la via,
pigliando ogni huom che per la strada andava,
e ne la sua bottega il conducia;
qui si partiva la puttana prava,
quand’havea ben merdosa la morfea,
e da l’imperador si ritornava.
….
Venite puttanaccie da Ferrara,
a presentarvi tutte a questa mostra,
che chi fotter non sa da voi s’impara.
Io mi ricordo una vicina nostra,
che ne la sacrestia di San Francesco
servì quaranta frati in una giostra;
et eragli fra gli altri un fra thedesco
che nome aveva Messer frate Nicollo,
ch’haveva un cazzo com’un pié d’un desco.
Costui se la fottette a gamb’in collo,
perch’ella aveva una potta spacata,
dentro con li coglion tutto cacciollo;
….
Anoia a me, quand’ella si procaccia,
ch’ella si forbe ‘l cul con la camisa,
e non cura trovar un’altra straccia.
Anoia a me, quand’ella rugge e strisa
In forma d’una volpe e d’una gatta,
quand’ella chiama l’huomo a bella guisa.
Anoia a me, ch’ell’è cattiva e matta;
anoia a me, ch’ell’è malvagia e ria;
anoia a me, perch’ell’è mentecatta.
….
Però, Silvestro, fuggi sua brigata,
non t’impacciar di sua mala ventura.
Lasciala andar, ch’ella sia scortegata.
….
Fuggi, Silvestro, il maledetto vermo,
e non esser nel numero de i pazzi
che del mio dir si faran forse schermo.
Fuggi al postutto tutti i lor sollazzi,
perché son venendosi e pien di noia,
di spine, di soghetti et altri lazzi,
tanto che spesso avien che l’huom ne muoia.
E chi ne vol ne pigli: tu nol fare;
lascia da parte questa mala troia,
Piglia ‘l consiglio mio, non lo schiffare,
che tu ne viverai gran tempo sano,
allegro e bello, come si de’ stare.
Come appare ovvio, di satira si tratta e molto probabilmente l’autore intendeva vendicare un qualche amore tradito: in fondo la conclusione, come succedeva sempre a quei tempi, è di sommo moralismo.