E’ il bisogno come cibo – come acqua, come aria – di poesia che mi possiede, certe volte. E allora devo trovare sollievo al mio animo riarso con le parole di qualcuno dei Miei. Questo è un librino della collezione di poesia Einaudi, finito di stampare il 17 maggio 1969; lo acquistai un anno dopo, circa: il Principe Giulio era ancora regnante e io annaspavo nelle zacchere della mia adolescenza densa di scoperte.
Pablo lo conoscevano soltanto gli appassionati e gli specialisti, il mio eccellente professore di Italiano (scuola serale) ignorava chi fosse. Non c’era ancora stato Pinochet e il Nobel e Pablo era ancora soltanto un diplomatico: per me, sedicenne, fu come un pugno nello stomaco…La traduzione, stupenda, è di Salvatore Quasimodo che ho sempre considerato un poeta mediocre (i miei soliti giudizi trancianti e presuntuosi: ma così è) ma un grandissimo, quasi inarrivabile, traduttore di versi.
Da Resindencia el la tierra, II (1931/1935)
Solo la morte
Vi sono cimiteri solitari,/tombe piene d’ossa senza suono,/se il cuore passa da una galleria/buia,buia,buia,/
come in un naufragio dentro di noi moriamo/come annegando nel cuore/come scivolando dalla pelle all’anima.
………………
A volte vedo/solo bare a vela/salpare con pallidi defunti, con donne dalle trecce morte
con panettieri bianchi come angeli,/con fanciulle assorte spose di notai,
bare che salgono il fiume verticale dei morti,/ il fiume livido
in su con le vele gonfiate dal suono verticale della morte.
La morte arriva a risuonare
come una scarpa senza piede, un vestito senza uomo,
riesce a bussare come un anello senza pietra né dito,
riesce a gridare senza bocca, né lingua, né gola.
…………….
La morte sta sulle brande;/sui materassi che affondano, sulle coltri nere
vive distesa, e all’improvviso soffia:/soffia un suono oscuro che gonfia le lenzuola;
e ci sono letti che navigano verso un porto/dove sta in attesa vestita da ammiraglio.